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■ am învățat să supraviețuiesc și așa
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- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2009-08-26 | [Acest text ar trebui citit în italiano] | Înscris în bibliotecă de Yigru Zeltil Porto tra le labbra la vita di un uovo e tra le palpebre ancora chiuse le alghe del pianto solo il deserto conosce questa terribile pioggia che penetra insieme con gli uccelli nelle ossa del viso, solo il deserto conosce questa neve amara su ogni mano aperta, sulle spalle fiaccate, su ogni bocca del cuore. Porto ancora nelle dita il fumo, il coltello e il fiore, la pelle del cadavere dolce come le braccia della notte, la sua fronte di calza di seta, la vasca riempita con onde di foglie dove le sue mani pendono sulle acque del mare. Non ho vestito più belo, le notti d’estate, porto la sua pelle trasparente sulle spalle, col sorriso abbozzato su una maschera liquida come capelli appoggiati a una roccia porto il tuo corpo disperso sulle ginocchia dell’abisso e i passi che perdo continuano nelle ombre dei passi. Ora porto nelle mani una lampada di fiamme, una piccola nave e un occhio di gallina, dall’alto di un pane bagnato nel tuo sangue dico piano il nome del fuoco dico il nome della morte così piano come il serpe della lacrima sulla pelle umida di lacrime così piano come la loro sola forma fattasi in bocca e caduta nelle mani, tengo in una mano la forma del nome del fuoco e nell’altra mano la forma del nome della morte, dall’alto di un pane bagnato nel tuo sangue guardo come questi strani oggetti si bruciano reciprocamente . . . . . . . . . . . . . . . . Nei tuoi occhi aperti molto al di là dei loro margini col pettine molle districo gli animali gialli di letargo e nella tua gola scorre una veste liquida. Ora puzzi di cavallo sventrato, di obitorio, quante volte, quante volte proibita, nascosta, tra le mie gambe quando cammino la tua pelle si tende, si contrae insieme coi passi tra le labbra ho la tua testa trasformata in una palude di capelli mentre sulle braccia, così bianco e così chiaro, tengo il tuo corpo come un cucchiaino. Poso questo oggetto, questo cadavere minimo e scrollo dai capelli una piuma o una candela davanti allo specchio appeso all’albero taglio dall’osso una guancia di una grazia piuttosto démodée e un’altra che è una scatola di legno profumata di seta. Poso questi oggetti rudimentali ricordo bene il nome di un coltello il nome di un vetro da lampada la schiena lunga di quel bambino la fronte e il ventre ricordo bene la palpebra nascosta nel cuscino l’angolo di labbro i passi scalzi sulle chicche calde troppo molli, ricordo troppo calde, troppo molli, e così dolce, troppo dolce in gola a paragone del gusto di questa scure. Ricordo, conto, quasi 22 oggetti poso accanto a te, oggetti di pompe funebri con le piume nere pali e bicchieri, le pareti di pelle, di vetro delle stanze, la sigaretta, il tremito delle dita, il coltello tutto quello che posso fare con il mio amore così come alzo le vele lunghe, le braccia, le palpebre, gli oggetti comuni all’amore e ai delitti, posso giù insieme con le mani il vetro da lampada, la cannula, la lisca di pesce il fazzoletto, il temperino e 30 lei, e tuttavia tra noi c’è una piuma vestita da boia un cadavere come un piccola bambola – senza alcuna spiegazione, mi decido a spogliarmi con il lento pallore di una donna con il folgorante luccichio di un coltello, non bacio, non uccido mi spoglio e vado a letto con questa bambola cadavere. Più nudo della perdita del cielo, della perdita dell’ombra, più fradicio della trapunta lacerata dai cani in mezzo alla piazza, circondato da mobili abissi, con il velo sperduto dei tuoi capelli aleggiante tra le dita, con una sola lacrima che la guancia beve, con mani d’argento, con i capelli e il volto tessuti in una sola maschera informe, con l’asciugatoio nero al collo e con la gola aperta, più triste di una nuvola,di una piuma, come un fiocco d’ovatta, con la mano sulla mia spalla così diffusa come la trapunta lacerata dai cani in mezzo alla piazza, più nudo del mio cuore intorno a me gli abissi e gli alberi molli tendono tra loro una gomma bollente, una pasta filante sulla quale crescono alberi, in cui s’aprono abissi, sulla quale crescono crescono alberi e così via una pasta pneumatica severamente vietata custodita da fulmini e da nubi più calde della neve che ti cade sulle labbra, intorno a me relitti di una lunga tempesta in cui, con gli occhi chiusi e coperti da ambo le mani, distinguo i cocci bianchi rimasti di te. . . . . . . . . . . . . . . . . Sulla piana si stendono ora moltissimi letti di ferro, con i cuscini e le lenzuola che pendono in mezzo sbattuti dal vento, tutti sono partiti oppure io devo dormire in tutti questi scheletri. Dietro c’è fumo, tutt’intorno, soffocante, il paesaggio fuso respira profondamente, s’arresta, respira, è un terreno da duello su cui sono solo e dove qualcuno deve cadere a un’ora precisa. Circondata dal vapore delle nebulose, con gli occhi della pioggia che precede il mattino con i seni da baciare, con la bocca sola, con i seni soli al mondo, con i capelli muro diroccato da salve di granate, circondata dl sonno, con il fianco del cuscino del nulla appoggiato alle montagne, amor mio tante volte, troppe volte intatta, perduta, trovata, ecco come passo accanto a te con le labbra pallide una piccola formica apre sulla fronte una larga pianura e tracce di sangue ti macchiano il viso sconvolto. Così, nella città inondata fino al di là dei grandi oceani, i tuoi passi scorrono in silenzio accanto a un solo fiore in fiamme, muovi le labbra, le labbra come due bambole perpetuum mobile una del colore del cielo, con odore d’orologio, l’altra del colore della terra che lasci assolutamente vuota d’ogni presenza umana. (traduzione vicino Greta Rosso) |
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